Il Museo Archeologico di Delfi e i personaggi

La prima luce

Il Museo archeologico di Delfi venne alla luce, in versione contenuta, nel 1903 a seguito della campagna archeologica adoperata dai francesi sul territorio greco. Gli scavi portarono alla luce testimonianze storiche che avevano bisogno di essere esposte e condivise con la società moderna.

Ma le opere vennero pensate come parti integranti dell’architettura e quindi degli orrendi stucchi le plasmarono nel contesto, quasi fossero delle appendici.

Fortunatamente, le altrettante spedizioni archeologiche crearono un bottino appetibile che non poteva essere trascurato. Quindi gli spazi di quel primo nucleo espositivo divennero, molto più tardi, il Museo archeologico di Delfi, che oggi raccoglie la storia.

Con il Museo archeologico di Delfi: ritorno alla Grecia

Si rivendicò in tal senso l’essere greci a discapito di un museo pensato dai francesi. Il nuovo Museo che nacque a cavallo delle due guerre venne totalmente riorganizzato. Ma durante il periodo della guerra le opere trovarono dimora presso i più svariati depositi: dalle tombe romane a Delfi, a fosse scavata per l’occorrenza, fino al Caveau della Banca di Grecia.

Il Museo di Delfi riaprì nel 1952 ma fu solo nel 1961 che l’allestimento originario e “francesizzato” lasciò il posto alle visioni dell’architetto Patroklos Karantinos e dell’archeologo Christos Karouzos, superviosionati dall’eforato di Delfi, Ioanna Constantinou.

L’eforo o ispettore rappresentava la più alta carica della magistratura spartana ed era legato alla figura di Licurgo, il principale legislatore di Sparta.

Auriga di Delfi Foto di toralt da Pixabay

Le sale arrivano ai tempi nostri completamente rivisitate dopo i restauri che terminarono nel 2003. Le novità hanno ammodernato gli spazi, la facciata e la circolazione dei visitatori.

I preziosi del Museo Archeologico di Delfi

Il Tesoro di Sifno

Uno dei documenti più preziosi, fonte inestimabile di studio sono i rilievi del Tesoro di Sifno, in cui è celato, e nemmeno troppo, il legame tra i greci e le divinità mitologiche.

C’è dunque la formula del Dio bello, di forza immensa e immortale, ma che -pari all’uomo- era soggetto alle passioni e ai sentimenti.

La testimonianza più preziosa del Museo Archeologico di Delfi è l’Auriga

La statua di bronzo scuro, chiamata Auriga, si presume appartenere a un gruppo più ampio di figure, o come viene definita una Quadriga votiva. I pezzi ritrovati nello scavo hanno fatto pensare subito a un duo di scudieri e ai quattro cavalli che trainavano un carro. Celebrava la vittoria di Polizelo, tiranno di Gela, ai Giochi Pitici.

L’atleta in questione è vincitore soprattutto spirituale, poi fisico. La sua postura ne denota la grande consapevolezza e portamento. Soprattutto c’è una lieve torsione del busto rispetto alla posizione dei piedi che sono curatissimi e in tensione, rispetto allo sguardo, invece rilassato, che guarda probabilmente al pubblico festoso.

Indossa una lunga veste, il chitone, ben rifinita a bulino: in effetti era l’unico atleta a gareggiare vestito.

L’Auriga è frutto di una lavorazione chiamata a cera persa che consisteva nel fondere le parti separatamente per poi unirle con saldature perfettamente rifinite. E il progetto, avendo un processo diretto, diventava unico nel suo genere. Una volta riempito, infatti, il modello in cera era utilizzabile solo per una posa, dopodiché per estrarre le forme in bronzo, veniva rotto.

Sfinge Alata

La Sfinge Alata

Un altro simbolo ragguardevole, sulla scia degli ex-voto offerti dalle città all’Oracolo, è la Sfinge Alata, una testa di donna con il corpo di un cane, smagrito, forse affamato, le costole scavate.

Ha un’espressione funerea mentre le ali curvano verso l’alto, come se fossero la sua corazza contro il mondo.

Quando venne rinvenuta non era che un insieme di frammenti, il Museo le ha reso giustizia restituendole l’integrità originaria.

I Kouroi

Il museo archeologico di Delfi ospita inoltre un elemento di forte richiamo: i Kouroi. Due statue gemellari ma non identiche. Anzi, essendo una delle due attribuita allo scultore greco antico, Polymedes di Argo, l’altra è certamente una copia dell’originale.

Sono due volti possenti, lo stesso i corpi -nudi- che richiamano agli atleti greci, e rappresentano i giovani Cleobis e Biton a cui gli argivi (gli antichi abitanti dell’Argolide) avevano dedicato le statue per consacrarli a Delfi come uomini egregi.

Questo perché furono tra le coppie di gemelli ad affrontare il viaggio che li avrebbe condotti al sacrificio umano come gesto di grande devozione verso la Dea-Luna. E in effetti sono raffigurati in marcia.

Ma questi sono solo i principali personaggi che animano il Museo, le sale sono ricche di testimonianze, fatti, di vite passate e che si sono fermate nel tempo.


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