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Un Jerez
Jerez de la Frontera è una parola composta, sapevi che Jerez significa Sherry? Tutto ha a che fare con gli arabi che chiamavano la zona Scherich –-dal fenicio Xerò-, e con i romani che la chiamavano Ceret.
Quindi quando chiedi uno sherry, che poi ha acquisito un’inflessione inglese, potresti benissimo chiedere “un bicchierino di Jerez por favor”.
Il Pedrito sulla terra di confine
Siamo su un triangolo di terra tra i fiumi Gadalquivir e Guadalete, chiuso dalla ariosità dell’Oceano; all’interno si estendono le città di Jerez de la Frontera, El Puerto de Santa Maria e Sanlucar de Barrameda.
La vite antica impiantata dentro le origini di questa terra è il Paolomino e Pedro Ximenez, chiamato amichevolmente “Il Pedrito”.
Il secondo nome “De la Frontera” invece significa proprio “di frontiera”.
Siamo in quella che un tempo veniva definita terra di nessuno.
Un luogo non luogo? Non esattamente. Anzi, è la Frontiera Granadina, il ciglio di due culture religiose: Cristianesimo ed Islam. Tra due entità: l’Andalusia cristiana e il Regno islamico di Granada.
Fu sotto Alfonso X il Saggio che questa linea di confine si consolidò per poi dissolversi nel 1492 con la presa di Granada. Molta dell’identità dell’Andalusia si deve a questa “frontiera”.
Da Jerez de la Frontera lo Sherry viaggiò per mare
Al Re Alfonso si deve non solo l’invenzione delle Tapas , uno stuzzichino adatto per accompagnare un bicchierino di Sherry ma anche la loro diffuse nel resto della Spagna. Questo via vai del Re ne decretò la fortuna.
A Jerez de la Frontera lo Sherry ha radici molto lontane. I Fenici e poi i Romani ebbero particolare attenzione per questo vitigno autoctono.
Nemmeno sotto le leggi musulmane, che vietavano il consumo di alcool, la produzione ebbe arresti. Durante le esplorazioni di Colombo e Magellano, lo Sherry viaggiava sulle navi, tanto da essere chiamato per un periodo di tempo Sack, cioè “merce di scambio”.
Magellano stesso investì più in vino che in altri approvvigionamenti o armi.
Il vino della meditazione
E poi arrivò Shakespeare che mise in bocca ai suoi protagonisti parole di grande compiacimento. Nell’Enrico IV Falstaff dice:
Esso illumina la faccia, che come un faro dà avviso a tutto il resto di quella piccola nazione che è l’uomo, di armarsi, e allora il popolo degli umori vitali e gli spiritelli dell’interno passano tutti in parata davanti al loro capitano, il cuore, che, grande e gonfio per tale seguito, compie qualsiasi prodezza, e questo valore viene dallo sherry. Sicché l’abilità nelle armi non è niente senza il vino, che è ciò che la mette in opera, e il sapere non è che un cumulo d’oro custodito da un diavolo, finché il vino non vi dà la stura e lo pone in movimento”
Questo vino fortificato, ma secco, arriva a una gradazione di 15 gradi. Può essere un accostamento eccellente per gli aperitivi, oppure come ci suggeriva il buon Shakespeare una liaison perfetta per meditare, lasciarsi travolgere dal pensiero, dilatarsi.
Famiglie di viticoltori
Lungo il nostro viaggio a Jerez de la Frontera, lo Sherry lo abbiamo bevuto nella Bodegas di Alvaro Domecq, una bottega scavata nella roccia, in stile mudéjar -cioè un po’ musulmano un po’ moresco- in cima a una collina.
Questo luogo apparteneva alla famiglia di Doña Pilar Aranda dal 1850. L’ultima delle grossiste più rinomate di Jerez, prima donna in cantina e Caposquadra d’Onore alla Festa della Vendemmia.
Portò avanti l’attività fino al 1998, quando subentrò appunto Alvaro Domecq Romero.
Anche lui viene da una storia vinicola familiare, ama Jerez de la Frontera e la cultura dello Sherry. Quindi ha mantenuto la tradizione e il metodo di lavoro, difende la varietà tipica, il “Pedrito”, e continua ad esportare la qualità nel mondo.
Jerez de la Frontera: i cavalli e il Flamenco
Alvaro Domecq tra l’altro è un famoso rejoneador, cioè un torero di cavalli, impersona esattamente la sua terra, i principi e la cultura su cui questa si fonda.
Jerez de la Frontera, oltre che per lo Sherry è rinomata –infatti- anche per i cavalli e per il Flamenco, due passioni trapiantate qui dalle popolazioni gitane che vivevano e vivono tutt’ora nel Barrio de Santiago.
Lo Sherry come una chiave di violino
La particolarità di questo “vino rinforzato”, come chiamano qui lo Jerez, è che dopo la fermentazione alcolica il deposito va a fondo mentre in superfice si allarga il cosiddetto “fiore”. Questo lievito che patina il vino e mette uno strato di protezione tra il liquido e l’aria, ne evita l’ossidazione.
Un’altra particolarità è che le botti sono poste su più livelli per formare una specie di scala di gradazioni. Le botti che corrono sul pavimento sono quelle che contengono il vino più invecchiato. Quando una piccola parte di questo vino viene prelevata per completare l’imbottigliamento, subito scatta un travaso a catena. Il vino della botte al secondo livello va a reintegrare quello tolto dalla botte a terra; la botte al terzo livello reintegra il vino tolto dalla seconda e così via, fino all’ultima botte che viene riempita con il vino dell’ultima vendemmia. Una poesia di vasi comunicanti.
Visita Jerez de la Frontera
Nella Cantina di Álvaro Domecq questo sistema viene attuato almeno tre quattro volte l’anno. Ovviamente per i vini Sherry che sono stati lavorati con il “fiore”. Quelli invece che hanno subito un processo ossidativo, quindi privi di “fiore”, vengono messi a riposare dopo la vendemmia.
Jerez de la Frontera ha uno Sherry gustoso, storico, e -insieme alle Tapas di Re Alfonso X– sono un’ottima scusa per visitare anche la città.
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