Un popolo propulsivo
Il sito archeologico di Micene è la culla di una civiltà che ha dato origine ad un intero periodo che va dal 1600 al 1200 e che si può definire tra i più influenti nella storia del mondo antico.
C’erano i Minoici con le loro navi, in legno di cipresso, a solcare -incontrastati- i mari, ed erano riconosciuti come civiltà contemporanea di grande ingegno.
Non solo i traffici commerciali ma, i Minoici, avevano fatto fiorire l’agricoltura, l’artigianato, la ceramica, la metallurgia e introdotto le coltivazioni di olivo, fico e vite. Inoltre intessevano rapporti culturali con le stesse potenze da cui acquistavano il piombo, il rame, i metalli preziosi, l’avorio e lo stagno.
Città di Troia: apice e disfatta
I Micenei, o achei, arrivarono da nord. Presero il nome della città in cui avevano trapiantato il loro centro economico, Micene, e s’impadronirono di Creta, assorbendo la cultura minoica.
Sapevano gestire la pastorizia, fondere il ferro e lavorare l’oro. L’essere nomadi li aveva facilitati nei commerci, nella navigazione e come conquistatori.
In tutto il Mediterraneo non si parlava che di Micene e di Agamennone, celebrati e resi immortali da Omero nell’Iliade.
L’apice dell’espansione degli achei, ma anche la loro decadenza fu segnata dalla presa di Troia.
La temerarietà di un guerriero
Agamennone era un guerriero valoroso ma anche autoritario e prevaricatore. Pur essendo il Supremo Condottiero veniva spesso oscurato dai regimi aristocratici, i quali, sostanzialmente agivano in autonomia minando il suo potere. Ma non solo. La Guerra di Troia si protrasse per circa dieci anni e questo dispendio di uomini ed energie portò a indebolire gli achei sugli altri fronti.
Camminare tra le rovine di questa città magnifica e poi disperata è fondamentale, per entrare nel suo passato, carpire l’essenza di ciò che resta.
Ti sarà più facile incontrare, anche se in uno spazio parallelo, la stirpe di Agamennone, un po’ maledetta, un po’ vendicativa, che ormai sconfitta si gode l’eternità. Nemmeno più Clitemnestra ha piani omicidi nei confronti del marito, se ne sta passiva a cogliere fiorellini sulla sua tomba.
Il sito archeologico di Micene viene disvelato
Insomma, oggi Micene è un sito archeologico di inestimabile valore che si porta dietro le tragedie epiche con grande coraggio, pur sapendo che sulla sua terra si sono compiuti atroci delitti, soprattutto tra familiari.
E per molto tempo questo tesoro restò indefinito, nascosto. Esisteva davvero? O l’Iliade aveva raccontato una storia di pura fantasia? Nessuno immaginava che la Micene di Omero esistesse. Almeno fino a quando Heinrich Schliemann, un noto archeologo tedesco, passato alla storia per aver scoperto la città di Troia e il tesoro di Priamo, non si mise a cercarla.
Micene e l’oro di Omero
Si sarà detto: se Troia è esistita perché non Micene? E, in effetti, come dargli torto? I poemi omerici che, in qualche modo, avevano seminato in lui una curiosità morbosa, lo portarono a studiare il greco per approfondire, senza intermediari, ogni traccia leggendaria.
E quando incappò nella parola “ricca d’oro” riferita a Micene, nulla lo fece desistere dal cercarla, nemmeno per un secondo pensò che fosse solo il resoconto appuntato da quel “visionario” di Omero.
Il primo passo nel sito archeologico di Micene
Fu così che arrivò alla Porta dei Leoni e, una volta lì davanti, il passo che aprì, portò alla scoperta di questo regno. Un vero successo per il tedesco che ci ha restituito un patrimonio dal valore straordinario.
Tornavano in auge le vicissitudini di Agamennone, e gli achei potevano uscire dalla polvere, rivendicare lo stato di abbandono, la dimenticanza.
In cima alla porta troneggiano due leoni, uno di fronte all’altro nell’atto di sostenere qualcos’altro. Un animale sacro? O una divinità? Non è mai stato rinvenuto il pezzo mancante ma, se pure restano un mistero le sue fattezze, è certo si trattasse di un simbolo miceneo, forse il più importante, della civiltà perduta. O non si sarebbe trovato all’ingresso, in alto, sostenuto da due possenti zampe di leone.
Camminare nella storia
Dalla porta si allargavano le Mura Ciclopiche, un’opera megalitica, ascritta ai Ciclopi, perché solo divinità possenti o creature come energumeni, avrebbero potuto innalzare una simile struttura difensiva.
Non avevano nulla a che vedere con l’impianto a terrazze dei raffinati palazzi minoici, qui si era di fronte a una costruzione chiusa su sé stessa, molto severa. I grandi blocchi di calcare duro, messi a dimora intorno alla città, si distanziavano dalle tecniche dell’architettura monumentale greca. Infatti al fine di assolvere il loro compito non applicavano i canoni classici, le mura “micenee” venivano saldate ai siti rocciosi in modo da consolidarsi e diventare bastioni inespugnabili.
Si apriva un mondo tra queste mura. In cima, circondato da un’altra fila di muraglie si innalzava il Palazzo Reale. Una reggia in cui, oltre alla dimora e alle stanze del sovrano, vi erano le abitazioni degli aristocratici e dislocati, qua e là, i principali luoghi di culto.
Poco sotto, in un recinto circolare, gli aristocratici trovavano la pace eterna in tombe “a fossa”, cioè, dei pozzetti bassi scavati nella roccia. Le sepolture erano abbellite dalle stele con bassorilievi istoriati. Sia le incisioni che il tema iconografico sono riconducibili all’arte anatolica, che se pure era stata considerata inferiore all’arte mesopotamica aveva invece una connotazione del tutto originale, che prendeva le proprie radici dagli ittiti.
Tesori ritrovati nel sito archeologico di Micene
Di altra fattura sono invece i corredi funerari riesumati dalla polvere: molto ricchi e soprattutto di realizzazione micenea. Creati, dunque, da artisti greci che avevano saputo internazionalizzare le influenze di altri popoli e conferirgli una propria autenticità.
Tra i reperti rinvenuti spiccano le maschere funerarie e in particolare la Maschera di Agamennone, o almeno ciò che Heinrich Schliemann pensò di aver trovato. Le sue ricerche lo portarono a dedurre che in quel “Lineare A” di Tombe Reali, una era di certo la sepoltura di Agamennone e, le altre, dei suoi familiari e degli eroi achei che avevano sconfitto Troia.
Rispetto alle ricche tombe reali, la “Lineare B” comprende ben 14 tombe, molto più antiche ma anche più povere delle prime. Tuttavia, in entrambi i circoli, le suppellettili erano opera da attribuirsi ad artisti micenei, quindi di grande valore per il paese.
La fiamma che brucia ancora
A un certo punto ti troverai su quella che sembra una terrazza. In quello spazio, chiamato Mègaron, bruciava il fuoco sacro. Era, quasi certamente, la Sala del Trono, un luogo di ricevimento ma anche di canti.
Il Mègaron del Sito Archeologico di Micene si affaccia a strapiombo su un paesaggio immenso. Ci si sente improvvisamente piccoli e si avverte la presenza misteriosa degli achei.
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